Sonderkommando

28.02.2021
  • Titolo: Sonderkommando, diario di un crematorio di Auschwitz, 1944
  • Autore: Salmen Gradowski
  • Editore: Feltrinelli
  • Pagine: 221
  • VOTO: 🍵🍵🍵🍵/5

Il libro è una raccolta delle memorie di Salmen Gradowski, un prigioniero ebreo che è stato assegnato per quasi due anni al lavoro nel crematorio del campo di concentramento di Auschwitz.

Le persone costrette a lavorare nel Sonderkommando erano obbligate ad accompagnare i prigionieri nel loro ultimo viaggio, quello verso le camere a gas. Il Sonderkommando doveva poi occuparsi dello smaltimento dei corpi che consisteva nella rasatura dei capelli delle donne, dovevano strappare dai corpi anelli, orecchini ed eventuali denti d'oro. I corpi venivano poi portati ai forni per essere cremati.

Un compito tremendo che portava alla distruzione di quel poco di anima che ancora poteva rimanere a questi uomini. Gli uomini del Sonderkommando non potevano avere nessun tipo di contatto con gli altri prigionieri, che in parte li temevano e in parte li odiavano.

Erano persone che finivano per essere disumanizzate e per perdere qualsiasi forma di sentimento ed emozione, induriti da ciò che ogni giorno erano costretti a vedere e subire.

Nell'introduzione alle memorie viene spiegato quanto queste persone fossero odiate dai prigionieri, venivano "Giudicati complici dello sterminio, i membri del Sonderkommando erano visti come l'incarnazione del male".

Anche dopo la fine della guerra sono state pochissime le persone che hanno tentato di capirli e giustificarli perché in fondo erano loro stessi dei prigionieri che tentavano il tutto per tutto pur di sopravvivere.

Alcuni di questi uomini finivano per diventare davvero dei mostri, perennemente in preda ai fumi dell'alcol perdevano ogni traccia di emotività. Ma altri cercavano di attaccarsi alla speranza e di dare quei pochi miseri aiuti che potevano ad altri prigionieri.

I membri del Sonderkommando diventavano degli emarginati tra gli emarginati.

Salmen Gradowski arrivò ad Auschwitz l'8/12/1942, rimase nel Sonderkommando per 22 mesi e morì probabilmente il 7/10/1944 a seguito di una rivolta all'interno del campo. Gradowski perde la sua intera famiglia che viene uccisa subito dopo la cattura. Ma cerca sempre di tenersi appigliato alla vita, è un uomo a cui la guerra ha portato via tutto, ed è sicuro che il mondo non sappia cosa davvero accade il quell'inferno. Decide quindi di trascrivere le sue memorie e di seppellirle con la speranza che nel futuro qualcuno possa ritrovarle e portare pace e vendetta per il suo popolo sterminato.

Gradowski scrive che è impossibile piangere per il proprio dolore nel campo perché si è continuamente sommersi dal dolore altrui.

Nella prima parte troviamo il resoconto di un massacro di 5000 ebrei cechi. Ogni passo degli ultimi istanti di questi prigionieri ci viene descritto con estrema accuratezza. Come se ogni fase dell'intero processo fosse il loro percorso verso la tomba. I prigionieri erano stati divisi in due gruppi, da una parte gli uomini e dall'altra le donne e i bambini. Gradowski ci racconta quanto queste donne, separate dai mariti, dai padri, dai fratelli, siano comunque andate incontro alla loro fine con dignità ed immenso coraggio. Privando i soldati tedeschi della soddisfazione di vedere la paura e l'umiliazione dei loro occhi. Sono morte cantando canzoni di libertà, privando il nemico della soddisfazione della vittoria. Vittoria facile e vigliacca quando viene considerato nemico un gruppo di donne innocenti e inoffensive.

Nella seconda parte ci viene narrato il momento in cui una parte del gruppo del Sonderkommando viene separata e portata via, probabilmente a morire. Era uso comune sostituire periodicamente questi uomini, o disfarsi di una parte di essi quando il "lavoro" dei crematori era minore. Erano come bestie da soma, come oggetti inutili che vengono gettati via quando ci si stufa di sfruttarli.

Lo stile di queste memorie è la cosa che mi ha colpito di più. In un posto peggiore dell'inferno, circondato dall'odore della morte, con le orecchie piene delle urla di disperazione, Gradowski riesce a mantenere uno stile poetico e puro. Quasi come se ci stesse narrando un semplice racconto, ma in quelle parole così ben scelte, così accurate si legge solo morte, violenza e disperazione.

E' un libro tremendo, un pugno nello stomaco. Un libro che mi ha fatto provare un'immensa pena per quelle povere vittime della pazzia umana, ma anche tanta vergogna, perché troppo spesso si rischia di dimenticare. Dimenticare è la peggior cosa che potremmo fare, dimenticare significherebbe non dare abbastanza valore e rispetto a delle persone che in quel fango, circondati dal filo spinato hanno perso la vita. E' fondamentale ricordare perché nulla di tutto questo debba mai ricapitare.

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